Diario
22 marzo 2010
Trasloco
Mi hanno fatto notare che non mettere un redirecting e non lasciare due righe d’avviso sarebbe una scostumatezza verso chi mi ha seguito per sei anni su queste pagine, e allora mi adeguo. Le ragioni del trasloco sono qui, e da oggi in poi mi trovate a questo indirizzo:
http://malvinodue.blogspot.com
| inviato da malvino il 22/3/2010 alle 15:10 | |
17 marzo 2010
E però al momento la Sisley tace
Giuliano Ferrara consiglia alle gerarchie ecclesiastiche di “difendersi contrattaccando” (Il Foglio, 15.3.2010), e almeno Camillo Ruini pare accolga il consiglio: “Più onesto e realistico riconoscere che certamente queste deviazioni legate alla sessualità accompagnano tutta la storia del genere umano ma anche che nel nostro tempo queste deviazioni sono ulteriormente stimolate dalla tanto conclamata «liberazione sessuale»?” (Asca, 16.3.2010). Come l’avvocaticchio che tenta la difesa dello stupratore declinando colpa alla vittima, perché portava la minigonna, qui ci vorranno far credere che anche il prete è vittima: Ferrara consiglia alle gerarchie ecclesiastiche di lamentarsi del fatto che in giro si vedono troppi culetti di ragazzini a fior di jeans, e Ruini pare raccogliere il consiglio e usa lo stesso genere di difesa. Depurandolo di quanto didascalico in Ferrara, però, che era alquanto eccessivo:
Sarà questa, dunque, la linea ufficiale della Santa Sede? Il Vaticano darà conto di ciò che i suoi preti hanno commesso ai danni di migliaia di bambini, declinando ogni colpa al “nostro tempo”? Il prete pedofilo come frutto della «liberazione sessuale»? E soprattutto – questo il fine ultimo di questo post – la Sisley si terrà l’accusa mossale da Ferrara? Queste ditte di abbigliamento sono così permalose quando scrivi che i loro prodotti fanno cagare, ma poi si tengono l’accusa di spargere il marcio morale e di istigare i preti cattolici alle “deviazioni legate alla sessualità”? Se fossi il titolare della Sisley farei a Ferrara un culo assai più grosso di quello che ha già. Tanto più che in tutta la sua nobile storia la Sisley non ha mai promosso campagne pubblicitarie che evocassero “deviazioni legate alla sessualità”, neanche lontanamente [*]. E nemmeno produce jeans dalla vita tanto bassa, di quelli che hanno turbato Ferrara.
E però al momento la Sisley tace.
[*] Questo, naturalmente, è quello che dovrebbe dire un avvocaticchio della Sisley.
| inviato da malvino il 17/3/2010 alle 5:38 | |
16 marzo 2010
Fidatevi della mia esegesi

“Solo sperimentando il perdono, riconoscendosi amati di un amore gratuito, più grande della nostra miseria, ma anche della nostra giustizia, entriamo finalmente in un rapporto veramente filiale e libero con Dio” (Benedetto XVI, 14.3.2010).
Fidatevi della mia esegesi: “Ok, vabbe’, noi ci mettiamo la cenere in testa per i pedofili che abbiamo protetto per anni e anni, e ve li consegniamo dopo averli spretati. Ma voi ci venite incontro e chiudete un occhio sui risarcimenti in sede civile”.
| inviato da malvino il 16/3/2010 alle 5:35 | |
16 marzo 2010
“La deriva finocchia della nostra società sembra inarrestabile”
Siete una massa di gay.
| inviato da malvino il 16/3/2010 alle 5:27 | |
16 marzo 2010
25
| inviato da malvino il 16/3/2010 alle 0:56 | |
16 marzo 2010
Di calzini e di cravatte

(ASCA) - Roma, 15 mar - Due mesi di sospensione per il direttore di Videonews, Claudio Brachino, dopo il servizio sul giudice Raimondo Mesiano, che aveva condannato Mediaset ad un maxi risarcimento di 750 milioni di euro per il caso Imi-Cir. Lo ha deciso l'Ordine dei giornalisti della Lombardia, che ha ravvisato il mancato rispetto delle leggi deontologiche e la violazione della privacy «al fine di screditare la reputazione del protagonista del video e delegittimare agli occhi dell'opinione pubblica la sentenza da lui emessa in precedenza nei confronti di Fininvest». Secondo l'Ordine, «immagini non essenziali (addirittura il colore dei calzini) costituiscono l'unico contenuto del servizio e sono sostenute da un commento a mo' di gossip. Risulta quanto meno fuorviante - conclude l'Ordine lombardo - alimentare dubbi sulle inchieste di un giudice in virtu' della scelta del colore dei suoi calzini».
Secondo me, il servizio su Mesiano è solo una scusa: l’Ordine dei giornalisti della Lombardia voleva punirlo per le sue stravaganti cravatte.
| inviato da malvino il 16/3/2010 alle 0:51 | |
16 marzo 2010
Sul celibato ecclesiastico
La newsletter di zenit.org del 13.3.2010 è monotematica e raccoglie quattro lunghi interventi sul tema del celibato ecclesiastico, tratti da un recente Convegno teologico internazionale («Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote»), tenutosi a Roma nei giorni scorsi: (1) Stefan Heid, membro del Pontificio istituto di archeologia cristiana, si intrattiene sui profili storico-dottrinali della questione, mentre (2) Manfred Lütz, consultore della Congregazione per il clero, si intrattiene su quelli psico-spirituali; seguono le relazioni di (3) monsignor Willem Eijk, arcivescovo di Utrecht, sulle “esperienze di discontinuità” nella tradizione del celibato ecclesiastico, e del (4) cardinal Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, sull’“ermeneutica della continuità”. Quattro interventi per un totale di oltre 100.000 battute (oltre 15.000 parole) il cui copia-incolla (Georgia 10, interlinea 1) mi piglia 22 pagine di Microsoft Office Word. Da maciullarsi i coglioni, e però il tema del celibato dei preti è richiamato sempre più spesso nella discussione sull’impressionante numero di casi di abusi sessuali su minori ad opera di preti, che da un po’ di tempo a questa parte vanno venendo alla luce un po’ dappertutto: occorre maciullarseli almeno un po’. Per quanto mi riguarda, buttando via tutto il superfluo da questa enorme massa di chiacchiere, mi limiterò a estrapolare solo alcuni passi, qua e là. Sono quelli che, a mio parere, danno la migliore misura di cosa stia accadendo nella Chiesa cattolica a seguito della drammatica escalation di rivelazioni su ciò che ormai solo i ciechi possono definire “casi isolati”, giacché le dimensioni della pedofilia fra i membri del clero cattolico la configurano sempre più come “fenomeno”, come elemento connaturato, chiamando la Chiesa intera – pastori e pecorelle – a rendere conto delle cause e dei cattivi rimedi posti ad esso, almeno fino a ieri, domani chissà.
Prima di tutto, però, dirò subito – e mi pare di averlo già detto – che non sono affatto d’accordo con quanti – anche cattolici, e non pochi – ritengono che il celibato dei preti spieghi in qualche modo l’enorme numero di pedofili fra essi: il fatto che fra i pedofili abbondino pure i coniugati mi pare argomento che li smentisca in modo ultimativo. In tal senso, credo che una parte del mondo cattolico (cui potremmo dare per comodità la definizione di “progressista”) stia approfittando dello tsunami che investe le gerarchie cattoliche per attaccare un punto assai caro a un’altra parte del mondo cattolico (cui potremmo dare la definizione di “tradizionalista”, per la medesima comodità di cui sopra); e che stia trovando sponda in ambienti non cattolici, che nell’abolizione del celibato ecclesiastico vedono un’occasione di riforma della Chiesa cattolica in senso “progressista”. Giacché non credo nella possibilità di un cattolicesimo “progressista”, non mi costa fatica definire strumentale questa correlazione tra celibato e pedofilia, strumentale quanto quella tra pedofilia e omosessualità, che ricorre spesso nelle argomentazioni dei “tradizionalisti”, anche se per altri fini (se il pedofilo è soprattutto omosessuale e la Chiesa non ammette omosessuali al sacerdozio, il prete pedofilo sarebbe de facto un prete abusivo, e la Chiesa sarebbe incolpevole). Ciò premesso, passiamo al florilegio.
(1) È in oggetto la questione sulla quale decine, centinaia, migliaia di teologi e di storici della Chiesa si sono affilati le corna, per secoli: se il celibato dei ministri fosse o meno un obbligo presso la Chiesa primitiva. Padre Heid è fra quanti ritengono che lo fosse, a dispetto di molti documenti che in realtà lo smentirebbero abbastanza chiaramente. Sì, lo smentirebbero, ma altri documenti sosterrebbero la sua tesi. “Chi ci fornirà [dunque] i criteri per distinguere gli elementi da mantenere da quelli da tralasciare dei secoli che hanno costituito il tempo della Chiesa primitiva? La Chiesa, con la sua autorità, è l’unica in grado di fornire una risposta a questa domanda. Solo la Chiesa può insegnarci ciò che resta valido per oggi di una tradizione della Chiesa primitiva che spesso ci arriva a frammenti”. Un modo assai elegante – diciamo – per discriminare fra le fonti: quelle che le gerarchie ecclesiastiche considerano degne di attendibilità, lo sono; le altre, no. Va’ a riformarla in senso “progressista”, una logica così. Quando ci riesci, fammi un fischio.
(2) Qui ci si intrattiene sull’aspetto psico-spirituale del celibato sacerdotale, dissertando in lungo e in largo sull’onere che sta in groppa al prete: troppo gravoso per consentirsi pure moglie e figli. E poi s’è visto – la storia insegna – che “in epoche di debolezza della Chiesa entrò in crisi anche il celibato [mentre] proprio nei movimenti ecclesiali nuovamente fiorenti esso gode nuovamente di grande apprezzamento”. Sottinteso che la cosa valga pure al viceversa, come dimostrerebbe “la crisi successiva al Concilio Vaticano II”: “fu nuovamente il celibato a finire sotto tiro” e di lì in poi la crisi di vocazioni svenò il clero. Salterei tutta la lunga parte in cui il professor Lütz porta attacco al laicismo, al nazismo, al machismo e a certa psicoanalisi d’accatto che nel celibato dei preti hanno visto solo una condizione morbosa, e passerei al punto in cui afferma: “Non eventuali anormalità sessuali sono il problema più frequente nella scelta e nella candidatura di nuovi sacerdoti, ma il narcisismo, giacché la «professione» del prete è per il narcisista una tentazione quasi invincibile. Rivestirsi di abiti da cerimonia e tenere prediche ad altre persone, prediche a cui non si può replicare, questo è per il narcisista addirittura il compimento di tutti i desideri”. Figuriamoci se è pedofilo, potremmo aggiungere. Sicché se “il celibato costituisce oggi come ieri, per uomini psichicamente sani, la chance di una vita spiritualmente animata, emozionante, vivace, piena di fecondità spirituale, e per la Chiesa un prezioso dono di Dio ad essa, per il quale noi certamente dobbiamo sempre nuovamente pregare”, preghiamo insieme al professore che i narcisisti con pulsioni pedofile scelgano un’altra professione.
(3) Monsignor Eijk non trova convincente la tesi di chi afferma che “l’identità sacerdotale ha cominciato a vacillare in seguito al Concilio Vaticano II”, ritiene che “questa crisi è cominciata prima” e individua il momento della “discontinuità dell’identità sacerdotale” nella confusione di ruoli tra chierici e laici, antecedente al Concilio e da addebitare – indovinate a cosa – alla modernità: è la modernità che ha provocato una “devalutazione della posizione del prete” e una “rivalutazione di quella del laico”. Colpa di tutto ciò che non va nella Chiesa, la modernità.
(4) Il meglio – come c’era da attendersi – dal cardinal Caffarra, che merita la citazione di ampi stralci: “Quale è l’identità permanente del ministero ordinato? […] La dimensione sacramentale dell’economia salvifica è il primo elemento. L’atto salvifico di Cristo non è una tangente che tocca la circonferenza della storia umana solo in un punto per allontanarsene subito all’infinito. Esso entra dentro la storia e vi rimane permanentemente presente. Non può essere solo ricordato: può essere realmente incontrato e fatto proprio. La presenza reale, perenne, duratura dell’Evento salvifico è assicurata dal sacramento. Il sacramento è precisamente la presenza di Cristo nella Chiesa, in forma di segno o di simbolo, nella modalità propria a ciascun segno o simbolo medesimo”, orpellosa perifrasi per dire: prete. “Il realismo della salvezza è il secondo elemento, strettamente connesso con quello precedente. La salvezza incontra realmente l’uomo nel sacramento e l’uomo la salvezza. Essa non è solo sperata, ma anche realizzata sia pure in forma incoativa. […] L’intrinseca verità del ministro sacerdotale è costituita all’interno della dimensione sacramentale della salvezza e del carattere realistico della redenzione. Questa costituzione è percepibile da un duplice punto di vista: dal legame fra ministero sacerdotale e sacramenti; dal rapporto fra la persona di Cristo vivente nella Chiesa e la persona del sacerdote”. Insomma, non è per mortificare gli svolazzi di Sua Eminenza, ma il prete è prete perché dice messa, ed è l’unico ammesso a dirla. Colta la continuità? Siete proprio degli zucconi, vediamo se così è più chiaro: “Nella santa eucaristia non è presente solo la grazia e l’opera della salvezza: è realmente presente Cristo stesso che si dona sulla Croce per la redenzione dell’uomo. Ma questa presenza non può essere realizzata senza un riferimento alla persona di Cristo: è lui stesso che la deve realizzare. Ovviamente non con una modalità percepibile dai sensi, ma nella modalità sacramentale propria dell’economia salvifica: sub signo”, dentro la tonaca. “La cifra dell’esistenza sacerdotale è la cifra eucaristica”: continuità di regola (ivi compreso il celibato) = continuità sacramentale. O vogliamo snaturare la santa eucaristia?
Coi coglioni maciullati, eccoci al punto: il prete non si può sposare, sarebbe troppo uguale a un laico. E se un prete è troppo uguale a un laico, a che servono più i preti? In più, un prete pedofilo somiglierebbe in tutto a un laico pedofilo, mentre – si sa – un prete pedofilo è più pedofilo che prete.
| inviato da malvino il 16/3/2010 alle 0:38 | |
15 marzo 2010
“Bonino in testa per 5 punti” (la Repubblica, 15.3.2010)
“Secondo il sondaggio riservato effettuato dalla Key Research per il Pd del Lazio, se si votasse oggi, Emma Bonino staccherebbe Renata Polverini di ben 5 punti: la candidata del centrosinistra otterrebbe il 43,7%, quella del centrodestra si fermerebbe al 38,5%. […] La rimonta del centrodestra assume i contorni dell’impresa”.
Se Pannella non si inventa subito qualcosa, il centrosinistra rischia di vincere.
| inviato da malvino il 15/3/2010 alle 10:0 | |
15 marzo 2010
Girano troppi culetti di ragazzini a fior di jeans

Il solito mix di vittimismo e aggressività. La Chiesa sarebbe “sotto assedio”. Fatta oggetto di “una vasta, forte, sistematica campagna di diffamazione e di colpevolizzazione”. Il chiederle conto degli abusi sessuali commessi dai suoi preti sarebbe solo un pretesto per tentare di “scardinare la tradizione e la dottrina”. Sicché Giuliano Ferrara consiglia di “difendersi contrattaccando” (Il Foglio, 15.3.2010). Che fare? “Alzare il tono della voce”. Per dire cosa? A chi mostra le cifre, a chi chiede alla Chiesa di renderne conto, che gli si dice? “Che è la consunzione identitaria del sacerdote nel dopo Concilio Vaticano II ad aver prodotto limitati ma sicuri effetti anche in questo campo di vita morale”.
Perché tanti preti sono pedofili, dunque? Perché la Chiesa s’è fatta fottere dalla modernità diventando permeabile ai vizi che corrodono il secolo. Povera Chiesa, “il secolo la circonda con la sua vita banalmente erotizzata, butta sul mercato l’ideale giovanile di sisley, dolce & gabbana, calvin klein: i suoi modelli sono la danza di stupro con la ragazzina distesa e il machismo del branco che le si rannuvola d’intorno, o le patte gonfie delle mutande adolescenti”. Via, confessate, il secolo ve lo fa rizzare, vero? Bene, come a voi laici, anche ai chierici. Ogni addebito, dunque, non va ai preti pedofili, né ai loro superiori che li hanno sottratti alla giustizia civile, permettendo loro di reiterare i loro crimini, di diocesi in diocesi, trasferimento dopo trasferimento, per decenni, nella solerte applicazione di una regola omertosa, che di fatto rendeva la Santa Sede complice di quei cromini – no! – ogni colpa va addebitata alla modernità, al “secolo [che] le imparte, senza nemmeno vergognarsene, la sua lezione di vita bassa e guardia alta”.
Siamo dinanzi alla variante della nota difesa dello stupratore che in fondo, in fondo, in fondo, altro non sarebbe che la vittima di un micidiale bombardamento di tentazioni: “Portava la minigonna, la troia”. Qui, invece, girano troppi culetti di ragazzini a fior di jeans: il prete – poveraccio – che colpa ne ha? Tutta colpa del secolo che, per “demolire il sacro e il suo recinto”, manda al catechismo bimbetti così appetitosi che il povero prete abbocca. È che il Concilio Vaticano II ne ha consunto l’identità, dicevamo. Prima del Concilio Vaticano II, i preti pedofili manco esistevano. Tutta colpa di Giovanni XXXIII, probabilmente. Ma non era sua la controfirma in calce alla Crimen sollicitationis? E a che serviva la Crimen sollicitationis?
| inviato da malvino il 15/3/2010 alle 8:43 | |
14 marzo 2010
Un ottimo lavoro, devo dire
Pannella e Politi duettano a Radio Radicale, e tessono con grande affiatamento la solita pezza dello “scisma sommerso” sempre meno sommerso: le gerarchie ecclesiastiche parlano vuoto, perché gran parte dei cattolici è più che tollerante – per dire – sulla contraccezione, sul sesso prematrimoniale, sulla fecondazione assistita, sul testamento biologico. Insomma, come scriveva la Bonino nella prefazione a un libro di Politi (La Chiesa dei no, Mondadori 2009), il papa, i cardinali e i vescovi parlano, ma non se li caga più nessuno (se non proprio così, più o meno). Sarà una risposta alla Nota del Vicariato di Roma che, pur senza nominarla, ordina ai cattolici di non votare la Bonino? Sì, dev’essere così, anzi, ecco, è proprio così: ci hanno messo 48 minuti, ma finalmente si arriva a citarla, la Nota del Vicariato. Politi gorgheggia che – di fatto – non pone veto sulla Bonino e Pannella in controcanto mette in discussione l’autorità e l’autorevolezza del Vicariato. Un ottimo lavoro, devo dire.
| inviato da malvino il 14/3/2010 alle 18:30 | |
14 marzo 2010
[...]

| inviato da malvino il 14/3/2010 alle 10:32 | |
14 marzo 2010
Marchette
Anselma Dell’Olio ritiene che “Ilaria Occhini dovrebbe essere molto più utilizzata come attrice” (Cinematografo – Raiuno, 13.3.2010). Si tratta della Ilaria Occhini che Giuliano Ferrara candidò nelle sue liste pro life, nel 2008.
| inviato da malvino il 14/3/2010 alle 2:24 | |
14 marzo 2010
Manda due dei suoi a dire...

Mostrano un evidente affanno nella scelta di verbi, avverbi e aggettivi. È che, abituati a stare nei panni dell’inquisitore, stanno maledettamente stretti in quelli dell’inquisito. È che sono poco abituati a render conto. Più pena che indignazione, quindi, e qui potrei anche chiudere. Se non fosse che stavolta – stavolta come mai prima – la loro faccia tosta lascia assai poco alla pena: Benedetto XVI manda due dei suoi a rivendicare “il merito di una battaglia aperta e decisa ai delitti commessi da suoi preti” (monsignor Giuseppe Versaldi – L’Osservatore Romano, 14.3.2010), come se non fosse quello che negli Usa ha scansato in extremis – grazie all’elezione a pontefice e alla immunità dovuta a capo di stato estero – un’incriminazione per correità negli abusi sessuali commessi da decine e decine di preti; e a vantare “un’intensa attività per affrontare, giudicare e punire adeguatamente questi delitti nel quadro dell’ordinamento ecclesiastico” (padre Federico Lombardi – Radio Vaticana, 13.3.2010), come se l’ordinamento ecclesiastico non prevedesse di fatto il consentire al prete pedofilo di continuare ad abusare di minori, e di minori affidati alle sue cure in quanto prete. Fanno fremere i polsi e prudere le mani, questi due.
“Qualche precisazione è opportuna – scrive il primo – a proposito degli abusi sessuali sui minori che in passato sono stati compiuti da appartenenti al clero cattolico e che ora, specialmente in alcuni Paesi, stanno venendo alla luce con grande evidenza su molti media. Innanzitutto, va ribadita la condanna senza riserve di questi gravissimi delitti che ripugnano alla coscienza di chiunque. Se poi questi crimini vengono compiuti da persone che rivestono un ruolo nella Chiesa - persone nelle quali viene riposta una speciale fiducia da parte dei fedeli e particolarmente dei bambini - allora lo scandalo diventa ancora più grave ed esecrabile. Giustamente la Chiesa non intende tollerare alcuna incertezza circa la condanna del delitto e l’allontanamento dal ministero di chi risulta essersi macchiato di tanta infamia, insieme alla giusta riparazione verso le vittime”. Bene, molto bene, verrebbe da dire: cenere in testa e mano alla tasca, poi riprenderemo a polemizzare sul sesso degli angeli e sull’animazione nello zigote. Ma subito: “Ribadita questa posizione, va però sottolineato un accanimento nei confronti della Chiesa cattolica, quasi fosse l’istituzione dove con più frequenza si compiono tali abusi”. “Quasi fosse”, un cazzo. La percentuale di pedofili nel clero cattolico è dalle 10 alle 15 volte superiore alla percentuale di pedofili sulla restante popolazione, e questo in base a dati non smentiti – anzi, confermati proprio di recente – dalla Santa Sede. “Per amore della verità bisogna dire che il numero dei preti colpevoli di questi abusi è in America del nord, dove si è registrato il maggior numero di casi, molto ridotto ed è ancora minore in Europa”. In assoluto, forse. Ma qui si discute della relazione tra un certo tipo di crimine e un certo tipo di criminale, con significativi valori di incidenza. “Se questo ridimensiona quantitativamente il fenomeno [ma solo surrettiziamente e strumentalmente], non attenua in alcun modo la sua condanna né la lotta per estirparlo, in quanto il sacerdozio esige che vi accedano soltanto persone umanamente e spiritualmente mature. Anche un solo caso di abuso da parte di un prete sarebbe inaccettabile”. Bene, molto bene, verrebbe da ridire, ma subito: “Tuttavia, non si può non rilevare che l’immagine negativa attribuita alla Chiesa cattolica a causa di questi delitti appare esagerata”. “Esagerata”? Avete ammesso che si tratta di cosa tanto più “grave ed esecrabile” perché è in questione un crimine commesso da “persone nelle quali viene riposta una speciale fiducia da parte dei fedeli e particolarmente dei bambini”, avete ammesso – anche se solo implicitamente – che l’incidenza della pedofilia nel clero cattolico è assai più alta che altrove, e adesso vi pare “esagerato” che la Chiesa venga chiamata a risponderne?
“C’è poi chi imputa al celibato dei sacerdoti cattolici la causa dei comportamenti devianti…”. Non io, sicché tralascio questo punto e arrivo a ciò è davvero intollerabile: “A dispetto dell’immagine deformata con cui la si vuole rappresentare, la Chiesa è l’istituzione che ha deciso di condurre la battaglia più chiara contro gli abusi sessuali a danno dei minori partendo dal suo interno”. Solo dopo che il bubbone è esploso, solo dopo che la Chiesa s’è trovata sporca del purulento che celava gelosamente sotto l’imposizione del silenzio. Sicché “bisogna dare atto a Benedetto XVI di avere impresso un impulso decisivo a questa lotta”, ma solo perché costretto dalla rottura di quel silenzio, e non già – come scrive monsignor Versaldi – “grazie anche alla sua ultraventennale esperienza come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede”, perché in quella carica l’allora cardinale Joseph Ratzinger non fece altro che continuare a raccomandare il silenzio, pena la scomunica (“Le cause [presso i tribunali ecclesiastici] di questo genere sono soggette al segreto pontificio” – De delictis gravioribus, 18.5.2001). “Proprio da quell’osservatorio il cardinale Ratzinger ha avuto la possibilità di seguire i casi di abusi sessuali che venivano denunciati e ha favorito una riforma anche legislativa più rigorosa in materia”? Diciamo piuttosto che proprio perché prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede avrebbe dovuto rispondere di complicità, se l’elezione a papa non l’avesse sottratto alla giustizia civile. “Ora, come supremo pastore della Chiesa, il Papa mantiene anche in questo campo - ma non solo - uno stile di governo che mira alla purificazione della Chiesa, eliminando la «sporcizia» che vi si annida”. Questa è prevenzione: dimostra una responsabilità che sarà valutata per il futuro, ma non sottrae dal dover rispondere per il passato, anzi, dimostra che in un sistema gerarchico – come la Chiesa vanta d’essere – il vertice è tenuto a rispondere della sua base, comunque e sempre. Se da oggi in poi, anche per il passato. Ma è in coda che c’è il colmo: “Quando la Chiesa saggiamente stabilisce norme più severe per prevenire l’accesso al sacerdozio di persone immature in campo sessuale, in genere viene attaccata e criticata da quella stessa parte che la vorrebbe principale responsabile degli abusi sui minori”, e qui è chiaro il riferimento ai preti gay, con la reiterata e mistificatoria suggestione di una relazione tra omosessualità e pedofilia. Falsa, innanzitutto. Poi, pesantemente offensiva e discriminatoria.
Non da meno il portavoce della Santa Sede, che pretende di farci credere che la De delictis gravioribus “non ha inteso e non ha favorito alcuna copertura di tali delitti, ma anzi ha messo in atto un’intensa attività per affrontare, giudicare e punire adeguatamente questi delitti…”, aggiungendo, come se niente fosse: “… nel quadro dell’ordinamento ecclesiastico”. In quel quadro – ripetiamo – il prete pedofilo non andava in galera: veniva trasferito ad altra sede, pronto a commettere nuovi abusi su altri bambini. Sui bambini stuprati nella diocesi di Monaco ai tempi in cui ne era responsabile l’allora monsignor Ratzinger? “L’arcivescovo era rimasto del tutto estraneo alle decisioni in seguito alle quali si erano potuti verificare gli abusi”. E allora come cazzo disponeva dei poteri attribuitagli?
| inviato da malvino il 14/3/2010 alle 2:3 | |
13 marzo 2010
Skoltz Kolgen
| inviato da malvino il 13/3/2010 alle 1:4 | |
12 marzo 2010
O complice omertoso o vescovo da quattro soldi
Un prete che aveva commesso abusi sessuali ai danni di minori nella diocesi di Essen fu trasferito nella diocesi di Monaco e Freising, ai tempi di cui ne era responsabile l’allora monsignor Joseph Ratzinger: lo rivela il Sueddeutsche Zeitung e lo confermano Bernhard Kellner, portavoce della diocesi, e Gerhard Gruber, ex vicario generale. Era il 1980, vigevano le regole dettate dalla Crimen sollicitationis (1962): a un prete pedofilo non toccava altro che un’ammonizione e un trasferimento (art. 4), mentre sulle sue malefatte si stendeva l’omertosa copertura di un “silenzio perpetuo”, pena la scomunica (art. 11), cui erano tenuti tutti, anche gli accusatori, i testimoni e le vittime, se fosse stata avviata una causa presso il tribunale ecclesiastico (art. 13). La giustizia civile non lo sfiorava, la Chiesa custodiva nel silenzio i suoi reati, nessuna misura valida era adottata per impedirgli di commetterne ancora. Sarà stato anche per questo che quel prete commise altri abusi sessuali ai danni di minori nella nuova sede? Chissà, resta il fatto che a Monaco la copertura assicuratagli dalla Crimen sollicitationis saltò, e la giustizia civile lo condannò.
È fin troppo ovvio che le rivelazioni del Sueddeutsche Zeitung muovano la diocesi di Monaco e Freising in difesa dell’allora monsignor Ratzinger, oggi papa, e infatti così accade col fermo diniego che il vescovo diocesano di allora fosse a conoscenza dei fatti. Ma quand’anche possa ritenersi credibile che l’arrivo di un prete da un’altra diocesi non sia preceduto o seguito da una nota informativa al responsabile della diocesi cui viene destinato – se non è assurdo, è grave – c’è da dire che per un vescovo diocesano non può valere il “non sapevo” col quale potrebbe farsi scudo il responsabile di un’istituzione laica: il Can. 391 del Codice di Diritto Canonico gli affida la piena potestà legislativa, esecutiva e giudiziaria, che lo rende pienamente responsabile del governo della Chiesa particolare di cui è il titolare, salvo grave negligenza o palese inadeguatezza all’incarico. Può non essere in grado di evitare un abuso, ma è tenuto a saperlo. O complice omertoso o vescovo da quattro soldi: cosa è meno peggio per chi ora è papa?
| inviato da malvino il 12/3/2010 alle 23:47 | |
12 marzo 2010
F5
Benedetto XVI è ormai diventato un “generatore automatico di riflessioni di Benedetto XVI”, e qualche volta il refresh è felice, qualche volta no. Qui, per esempio, è assai infelice: “Viviamo in un contesto culturale segnato dalla mentalità edonistica e relativistica, che tende a cancellare Dio dall’orizzonte della vita, non favorisce l’acquisizione di un quadro chiaro di valori di riferimento e non aiuta a discernere il bene dal male e a maturare un giusto senso del peccato. Questa situazione rende ancora più urgente il servizio di amministratori della Misericordia Divina. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che c’è una sorta di circolo vizioso tra l’offuscamento dell’esperienza di Dio e la perdita del senso del peccato” (L’Osservatore Romano, 12.3.2010). Roba moscia, da imitatore di se stesso. Si avverte il logorio del tasto F5.
| inviato da malvino il 12/3/2010 alle 6:39 | |
12 marzo 2010
Il sogno di tornare ancora ad «univertere» il sapere
Dandosi il nome di «università», l’istituzione si dichiarava «universo» del sapere. La cosa avveniva in tempi in cui per «universo» si intendeva qualcosa di assai diverso dall’«universo» che l’astrofisica ci avrebbe successivamente mostrato fino a rendere credibile addirittura l’ipotesi di un «multiverso». Dall’idea di un «universo» con la Terra al centro, oggi bandita in ogni facoltà universitaria, siamo arrivati ad un’idea di «universo» nel quale il concetto stesso di centro pare non aver più senso, con ciò che ne consegue per l’ordine concentrico e gerarchico che quel sapere e quell’«universo» avevano, appellandosi alla possibilità – anzi, alla necessità – di vertere in uno il tutto. Piaccia o non piaccia, non si può più. Impossibile come il tornare a far coincidere la Chiesa con la società, impossibile come ridare ai chierici il monopolio del sapere, e alle istituzioni ecclesiastiche quello dell’istruzione.
E tuttavia, giacché non si sente a suo agio “in un mondo che fa del relativismo e della frammentazione delle conoscenze il suo metodo programmatico”, il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, sogna un’università in cui si torni ad un unico sapere – concentrico e gerarchico come l’ordine di cui dovrebbe essere cifra – perché “se non si chiama «multiversità» ma università è per un motivo preciso” (L’Osservatore Romano, 12.3.2010). Lo dice nell’introduzione a un volume che racconta la storia della Fiuc (Foederatio internationalis universitatum catholicarum), istituzione che ha per motto «sciat ut serviat» (superflui i due complementi oggetti).
| inviato da malvino il 12/3/2010 alle 5:56 | |
12 marzo 2010
Diciamo

Anche se fatto senatore da Caligola, Incitato restava cavallo, continuava a mangiare biada, a portare sella e a nitrire. Per La Russa – diciamo – è uguale. Anche da ministro, Sovraeccitato resta quel tipo di gregario-nato che nel clan si piglia la parte dell’energumeno, dello spaventapassere animato da quel vitalismo tutto menefrego e tispaccoilmuso. Nel senatore è interamente conservata la natura equina del cavallo, nel ministro resta intatto il coatto.
| inviato da malvino il 12/3/2010 alle 3:48 | |
11 marzo 2010
Opere di bene
Com’è per le altre due rubriche in pagina, che non tradiscono l’impegno preso col lettore e, facendo onore al titolo (La tele dipendente e Scripta manent), informano correttamente su tv e quotidiani, da una rubrica che ha per titolo Bloggeria uno si aspetterebbe informazioni sulla blogosfera, ma il fatto è che a curarla è Mario Adinolfi, sempre più uomo di spettacolo che di informazione, e sempre meno blogger. Consiglierei al direttore di Europa di promuoverlo a editorialista, affidando Bloggeria (cambiando il titolo che è cafonissimo) a qualcuno in grado, chessò, Alessandro D’Amato (Giornalettismo) o Federico Punzi (Jimmomo).
| inviato da malvino il 11/3/2010 alle 6:34 | |
11 marzo 2010
La trasparenza

La Santa Sede diffonde una nota ufficiale sulla “gravissima questione degli abusi sessuali su minori in istituzioni gestite da enti ecclesiastici e da parte di persone con responsabilità nella Chiesa, in particolare sacerdoti” (L’Osservatore Romano, 10.3.2010): un capolavoro di ipocrisia e di cinismo. “Le principali istituzioni ecclesiastiche coinvolte – si legge – hanno dato prova di volontà di trasparenza [e] in un certo senso hanno accelerato il manifestarsi del problema invitando le vittime a parlare”. Certo, ma mai prima che il problema fosse già nelle mani della magistratura, mai. Anzi, potremmo dire che la scelta della trasparenza arriva quando è inutile: il problema è già evidente di suo, e mostra dimensioni enormi, col costante rilievo di responsabilità mai limitate al singolo prete pedofilo.
Sia detto tenendo a freno lo sdegno: invitare le vittime a parlare – dopo aver per decenni imposto loro il vincolo della segretezza sugli abusi subiti (pena la scomunica) – è da veri stronzi. Non potendo più nascondere gli abusi, alla Santa Sede non resta che tentare di nascondere le proprie responsabilità, diluendo nel totale l’impressionante numero di abusi sessuali compiuti da preti: “I dati recentemente forniti dalle autorità competenti in Austria dicono che in uno stesso periodo di tempo i casi accertati in istituzioni riconducibili alla Chiesa sono stati 17, mentre ve ne sono stati altri 510 in altri ambienti”; per poi chiamarsi addirittura in causa, da problema a soluzione: “È bene preoccuparsi anche di questi [e] la Chiesa è naturalmente pronta a partecipare e impegnarsi”.
Da complice a parte civile, anzi, di più, a soggetto ufficialmente riconosciuto come attore privilegiato della prevenzione. E senza neanche un grammo di pudore nel citare il De delictis gravioribus (firmato Joseph Ratzinger, 18.5.2001), definendolo per giunta “un segnale determinante per richiamare l’episcopato sulla gravità del problema e un impulso concreto per l’elaborazione di direttive operative per affrontarlo”. Stiamo parlando nel documento nel quale si legge dell’“istruzione Crimen sollicitationis finora in vigore”, cioè fino al 2001, col ribadire che “le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio”, dal 2001 in poi.
| inviato da malvino il 11/3/2010 alle 5:54 | |
11 marzo 2010
Smettiamo di chiamarlo vizio, sennò si vendica
“Gli statunitensi, come dice il mio amico ginecologo Luigi Castaldi, hanno desessualizzato il sesso e sessualizzato tutto il resto” (Mauro Suttora, No sex in the city, Ed. Cairo 2006). Ricordo d’averlo detto a cena, qualche anno prima. Discutevamo delle significative differenze di gusti sessuali di qua e di là dall’oceano, e delle differenti nature della lusinga sessuale posta nelle differenti versioni della pubblicità dello stesso prodotto se per il mercato statunitense o per quello europeo. Concordavamo sul ritenere che queste differenze avrebbero fatto grande resistenza a ogni globalizzazione – “da femmina latina a donna americana non cambia molto, sai”, grande cazzata, per chissà quanto ancora – ma, come sempre, io mi spingevo oltre, per la tangente: anche quando non esplicitamente dichiarati (soprattutto quando impossibilitati a dichiararsi) – dicevo – i gusti sessuali tendono a desessualizzarsi, per diventare socialmente attivi (mimesis) e per sessualizzare le attività sociali (nemesis). Il sesso – potremmo dire – va laicizzandosi: da dettato a opzione, da liturgia a linguaggio, da destino a viaggio… Si rende possibile la vendetta di ciò che è sempre stato censurato come vizio: desessualizzandosi, diventa attivo. Vogliamo continuare a considerare vizio ciò che abbiamo sempre dovuto censurare per poterlo definire tale? Possiamo farlo, si è sempre fatto, ma attendiamocene mimesis e nemesis.
Ciò detto, non sarà difficile rispondere ad Angiolo Bandinelli che, afflitto dall’allusione di un pompino in qualche spot del Calippo, chiede: “Potrà mai gioire il laico constatando che non la virtù ma il vizio tiene in piedi la società?” (Il Foglio, 11.3.2010). Bandine’, se non ti piace il Calippo, non lo comprare, ma evita di atteggiarti a portavoce della laicità: il vizio – sveglia! – non esiste. Conviene non esista.
| inviato da malvino il 11/3/2010 alle 4:36 | |
11 marzo 2010
Nuages
| inviato da malvino il 11/3/2010 alle 1:48 | |
10 marzo 2010
Io non andrei in piazza
Presentandosi al seggio a urne già chiuse o senza certificato elettorale o con un documento di riconoscimento non valido l’avente diritto al voto lo perde di fatto. Se non gli viene consentito di votare può strepitare che quello è un “sopruso”? Vedo questo argomento rimbalzare tra blogosfera e social network, e lo trovo assai efficace: la questione si libera dal di più che avrebbe smarrito i semplici, i distratti e gli strafottenti nel groviglio tecnico di ricorsi e rigetti, fino a stramazzarli sotto il falsissimo dilemma formalismo/sostanzialismo.
Bene, non è il comune cittadino a dover prendere le difese del presidente del seggio, minacciato di esser strangolato dall’ormai non avente più diritto al voto (perciò sicuro di avere un diritto di riserva, quello di reagire al “sopruso” aggredendo i rappresentanti dello Stato): non spetta al comune cittadino, spetta al magistrato. Eventualmente alle forze dell’ordine, se il furioso esagera. La magistratura pensa anche a questo. E fin qui il magistrato è stato fermo, chiarendo bene la questione (dura lex, sed lex). Peraltro neanche precludendo l’elezione di Formigoni e della Polverini.
Non si capisce che vogliano, questi smargiassi, con il ricorso alla piazza, il 20 marzo. Facessero, ma io non andrei in piazza sabato prossimo, rimarrei da comune cittadino a guardare come va a finire la storia, senza più dire neanche mezza parola, senza offrire occasioni al vittimismo di chi possa considerarmi parte in causa, con la magistratura dalla mia parte. Si è presentato al seggio a urne già chiuse, senza certificato elettorale, con un documento di riconoscimento non valido: cazzi suoi, io l’ho solo segnalato, adesso la questione è tra lui e la magistratura. Mi concentrerei sul sottolineare in modo pacato e anche un poco ironico, da tutti i canali a disposizione, che l’avente diritto al voto è un gradasso e un violento. Ai moderati non piacciono i gradassi e i violenti.
| inviato da malvino il 10/3/2010 alle 6:12 | |
10 marzo 2010
Come di padre in figlio
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“ I casi di pedofilia acclarata tra i sacerdoti sfiora mediamente il 5 per cento”, scrive Filippo Facci [1], citando fonte degna di fede: il cardinal Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero (con successiva conferma di monsignor Tomasi, arcivescovo osservatore della Santa Sede all’Onu). E però – scrive – “le accuse di pedofilia normalmente riguardano una persona su duemila”, Ebbene, le accuse di pedofilia normalmente riguardano una persona su duemila, cioè lo 0,5 per mille [2], sicché no, “la pedofilia non è solo nella Chiesa – deduce – ma lo è soprattutto” [3]. Deduzione inoppugnabile, ma per mancanza di spazio Filippo Facci non si spinge oltre.
C’è un motivo se il pedofilo è più spesso prete che altro, e sta nell’allettante pacchetto di occasioni e coperture che la Chiesa ha offerto al pedofilo disposto a farsi prete, promettendogli vita assai più facile e sicura che da pedofilo laico. Poi c’è da considerare che chi commette abusi sessuali su minori spesso ne ha a sua volta subiti da minore e – abbiamo visto – più spesso da un prete che da altri. Se da bambino è stato oggetto di abusi sessuali da parte di un prete, l’avrà visto agire con grande libertà d’azione e soprattutto farla franca grazie alla protezione offertagli dalla Chiesa: l’abuso gli sarà stato come legittimato – nel bambino abusato la violenza si autocertifica come diritto – e in lui, come di padre in figlio, pulsione pedofila e vocazione al sacerdozio saranno cresciute inestricabili fin dall’inizio. Dovremmo sapere di più sull’infanzia dei preti che hanno commesso abusi su minori, dovremmo verificare in quanti casi essi ne abbiano subito di simili quando erano minori da parte dei preti che hanno frequentato, probabilmente penetreremmo nel pieno di quella vena carsica che solo ora affiora in tutta (?) la sua portata, ma che ha percorso la storia di tutto il cattolicesimo, certo con dimensioni assai più imponenti di oggi, di sicuro sempre ben nascosta, inestricabile dall’anima stessa della Chiesa. “La pedofilia non è solo nella Chiesa, ma lo è soprattutto”, e Filippo Facci non ha modo di chiedersi il perché. Ne avesse, temo che andrebbe subito fuori traccia, perché il suo articolo chiude così: “ll non voler ammettere la verità sta portando la Chiesa a una crisi d’immagine spaventosa”.
Come ho cercato di spiegare, ammettere la verità porterebbe la Chiesa a una crisi d’immagine assai più spaventosa, perché la verità è che 5 preti pedofili su 100 sono solo il dato a valle di una tradizione che ha certificato la violenza sul minore come diritto, a cominciare dall’imposizione del battesimo al neonato incosciente e irresponsabile, al catechismo di fatto obbligatorio per secoli, per arrivare alla facile esazione (sempre meno facile, oggi) di leve sempre nuove da avviare al sacerdozio. Voglio fare un’affermazione forte: insieme alle altre forme di circonvenzione di incapace (diretta e indiretta), la pedofilia fu uno di questi strumenti. Lo scappellotto al piccolo corista che stecca, le bacchettate sulle nocche o sulle natiche nude all’alunno svogliato o ribelle, le altre umiliazioni fino al vero e proprio stupro, per lo più a danni dei più deboli tra gli indifesi, sono stati solo gradi diversi di un unico e solo tipo di violenza, dove pedagogia cattolica e pedofilia dei preti, rigore didattico e sadismo scolastico, paternalismo e repressione, consiglio e minaccia, carezza e schiaffo, benedizione e maledizione, sono sempre stati valori diversi sullo stesso gradiente. Io sono il pastore, tu sei la pecora, so quel che faccio, fammelo fare, ne ho il dirittto, superfluo dirti chi me l’abbia dato, stai zitto...
[1] Libero, 10.3.2010 [2] «0,5 per mille», non «5 per mille» (versione precedente a questa correzione: ringrazio chi mi ha fatto notare l'errore). [3] Ad analoga deduzione, con qualche ora di anticipo, era giunto pure Alessandro Capriccioli (Metilparaben, 9.3.2010), con cifre leggermente diverse (altra fonte ma non meno attendibile: padre Lombardi, portavoce della Santa Sede).
| inviato da malvino il 10/3/2010 alle 4:21 | |
9 marzo 2010
Per poco
Non so più come son capitato qui, su un blog “solo per uomini veri”. Ho letto, trasecolando, di tanto in tanto sobbalzando ad atrocità del tipo “Sesso sulla Smart: meno scomodo di quanto pensiate”, “Il 70% degli uomini preferisce lo sport alle donne”, ma soprattutto a imbattermi in orrori lessicali del tipo “farsi una serata con la propria fidanzata”, “cose che la donna non concepisce”, “certo la donna è la donna” (tutti in un solo post). Ne ho ricavato un enorme disgusto per gli “uomini veri”, soprattutto per quelli specializzati in problemi che riguardano gli “uomini veri”. Insomma, per poco non mi veniva voglia di diventare ricchione.
| inviato da malvino il 9/3/2010 alle 6:1 | |
9 marzo 2010
Se non vi convertite, ma anche se vi convertite
Hoppe, Ebner, Backhaus, Frei, Pesch… Sono in tanti – seppur fra le righe – ad aver rilevato i grossi limiti del Ratzinger biblista, che in fondo stanno tutti in uno: legge il testo da teologo e da canonista, accettando il metodo storico come presupposto, ma solo per piegarlo a una esegesi teologica e canonica. È un limite che psicologicamente e culturalmente viene dal modo in cui la tradizione ha letto il vangelo di Giovanni e che finisce per condensarsi nel discorso conclusivo al Sinodo sulla Parola (2008): “La conoscenza esegetica deve intrecciarsi indissolubilmente con la tradizione spirituale e teologica perché non venga spezzata l’unità divina e umana di Gesù Cristo e delle Scritture”. Il testo non può mai prescindere dalla lettura che ne ha fatto la tradizione e dunque va tradito, se necessario, laddove l’evidenza di natura storica e filologica lo conduca altrove che alla fede, sicché tradere e tradire sono facce della stessa ermeneutica. Un esempio? All’Angelus del 7 marzo, riguardo a Lc 13, 1-5.
“Nel brano del Vangelo odierno, Gesù viene interpellato circa alcuni fatti luttuosi: l’uccisione, all’interno del tempio, di alcuni galilei per ordine di Ponzio Pilato e il crollo di una torre su alcuni passanti. Di fronte alla facile conclusione di considerare il male come effetto della punizione divina, Gesù restituisce la vera immagine di Dio, che è buono e non può volere il male, e mettendo in guardia dal pensare che le sventure siano l’effetto immediato delle colpe personali di chi le subisce, afferma: «Credete che quei galilei fossero più peccatori di tutti i galilei, per aver subito tale sorte? No, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,2-3). Gesù invita a fare una lettura diversa di quei fatti, collocandoli nella prospettiva della conversione: le sventure, gli eventi luttuosi, non devono suscitare in noi curiosità o ricerca di presunti colpevoli, ma devono rappresentare occasioni per riflettere, per vincere l’illusione di poter vivere senza Dio, e per rafforzare, con l’aiuto del Signore, l’impegno di cambiare vita. Di fronte al peccato, Dio si rivela pieno di misericordia e non manca di richiamare i peccatori ad evitare il male, a crescere nel suo amore e ad aiutare concretamente il prossimo in necessità, per vivere la gioia della grazia e non andare incontro alla morte eterna. Ma la possibilità di conversione esige che impariamo a leggere i fatti della vita nella prospettiva della fede, animati cioè dal santo timore di Dio. In presenza di sofferenze e lutti, vera saggezza è lasciarsi interpellare dalla precarietà dell’esistenza e leggere la storia umana con gli occhi di Dio, il quale, volendo sempre e solo il bene dei suoi figli, per un disegno imperscrutabile del suo amore, talora permette che siano provati dal dolore per condurli a un bene più grande”.
Rileggiamo: “Le sventure, gli eventi luttuosi, non devono suscitare in noi curiosità o ricerca di presunti colpevoli, ma devono rappresentare occasioni per riflettere…”, e su cosa, visto che ci è preclusa la ricerca delle cause? Sull’“impegno di cambiare vita”, sulla necessità della conversione, “per vincere l’illusione di poter vivere senza Dio” e imparare “a leggere i fatti della vita nella prospettiva della fede”. In questa prospettiva che senso acquista l’essere sgozzati dai soldati di Ponzio Pilato? I galilei uccisi nel tempio di Gerusalemme e quelli morti sotto il crollo della torre di Siloe avevano forse “l’illusione di poter vivere senza Dio”? Non risulta: tutta gente molto pia e devota. “Leggere i fatti della vita nella prospettiva della fede”, ma a questo punto pure il testo del vangelo di Luca, nel quale – pianamente – si legge: “Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. I convertiti scanseranno questo rischio? No. Infatti, sebbene Dio voglia “sempre e solo il bene dei suoi figli, per un disegno imperscrutabile del suo amore [che solo la fede può ricondurre al suo amore], talora permette che siano provati dal dolore per condurli a un bene più grande”. Convertirsi, dunque, non scansa dal perire come perirono i pii e devoti galilei: e allora che senso avrebbe il monito “se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”? Si fa riferimento a un altro genere di morte, opposto al quale sta la vita eterna? No, perché la lettera del testo recita “allo stesso modo”.
È chiaro che siamo dinanzi ad uno dei tanti passi evangelici in cui Gesù si contraddice, e la contraddizione si risolve solo nell’accettare come buono ciò che sfugge ad ogni logica umana, entro la quale perire quando non se ne ha voglia è male. Naturalmente la fede risolve questa contraddizione, e il “santo timore di Dio” le è indispensabile a risolverla, però – e questo è il punto – uscendo da ogni logica umana, inseguendo nel dolore “un bene più grande” sempre indimostrato. Torna d’aiuto l’equipollente nel vangelo di Giovanni: “Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Gesù rispose: «Né lui, né i suoi genitori. È così perché in lui si manifestassero le opere di Dio»” (Gv 9, 1-3). Qui la contraddizione è sciolta nell’imperscrutabilità del disegno che opera fuori da ogni logica umana. Ma come è risolto il quesito che il testo pone al biblista? Da teologo, e infatti Benedetto XVI commenta: “In presenza di sofferenze e lutti, vera saggezza è lasciarsi interpellare dalla precarietà dell’esistenza e leggere la storia umana con gli occhi di Dio”. Lo storico potrebbe leggervi influenze essene o embrioni gnostici, ma figurarsi se un canonista può consentirselo: le opere di Dio vivono attraverso la sua Chiesa. Senza la sofferenza, la Chiesa a che serve?
| inviato da malvino il 9/3/2010 alle 5:36 | |
8 marzo 2010
Golpisti del cazzo
Verrebbe voglia di maramaldeggiare un po’, ma tutto sommato è superfluo.
| inviato da malvino il 8/3/2010 alle 21:22 | |
8 marzo 2010
Armide (1777)
| inviato da malvino il 8/3/2010 alle 18:41 | |
8 marzo 2010
Il primato dei suicidi
“Nessun’altra civiltà al mondo si è mostrata più impermeabile al cristianesimo della giapponese”, scrive Sandro Magister. Poi, come se passasse a parlar d’altro, scrive: “Un impressionante indizio del mistero della cultura giapponese è il primato dei suicidi”. Uno rimane impressionato, ma – prima di tutto – è vero? Non è vero, almeno secondo quanto riportato dalla World Health Organization: il primato spetta alla Bielorussia, e a percentuali pressoché simili a quelle dei suicidi in Giappone (o addirittura superiori) ci sono Russia, Lituania, Ucraina e Ungheria, paesi che non sono stati affatto impermeabili al cristianesimo. Per dire, ci si suicida di più nella cristianissima Polonia che nella Svezia già da tempo scristianizzata, e più in Portogallo che in India. E allora che cazzo scrive, Sandro Magister?
| inviato da malvino il 8/3/2010 alle 14:15 | |
8 marzo 2010
Un bellissimo pudore
“Ron possiede un bellissimo pudore della sua fede”
Avvenire, 7.3.2010
Mica tanto, direi. Lo possedeva prima, eventualmente, prima di rilasciare questa intervista sul tema. Prima, infatti, chi lo sapeva che Ron andasse a Lourdes ogni anno? Chi lo sapeva che è “sempre andato a messa, per dire, anche in tour, anche a costo di dover discutere con qualcuno dello staff perché la faccenda era problematica dal punto di vista pratico”? Avete presente quando era in tour con Lucio Dalla, quello che “giro sempre col mio rosario da boy scout” (Diva e Donna, 23.12.2009)? Si mormorava che fossero presi da bruciante delirio erotico: tutto sbagliato, ai tempi di Stella di mare, chiusi nel camper, pregavano.
| inviato da malvino il 8/3/2010 alle 13:20 | |
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